Zuccheri “buoni” e zuccheri “cattivi”

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Il termine zucchero deriva dal sanscrito “sarkara”, che significa "grani di sabbia”. È utilizzato tra le popolazioni asiatiche da oltre 8.000 anni, e solo in tempi piuttosto recenti (XI secolo) è stato portato in Europa, e con Cristoforo Colombo è sbarcato nelle Americhe.

Gli zuccheri fanno parte della classe dei macronutrienti, appartengono alla famiglia dei carboidrati, ma mentre il termine “carboidrati” si riferisce a tutti i tipi di carboidrati, il termine “zuccheri” fa riferimento specificatamente agli zuccheri monosaccaridi e disaccaridi. Anche gli zuccheri, come i carboidrati, sono una parte essenziale di una nutrizione equilibrata. In particolare, il glucosio è detto "cibo del cervello", proprio perché contribuisce ad alimentare le cellule cerebrali. L’importante è saper distinguere tra zuccheri “buoni” e “cattivi” e saper dosare consapevolmente le quantità.

Come distinguere i buoni dai cattivi?

In base all'indice glicemico che permette di classificare i cibi in base alla loro incidenza sui livelli di glucosio nel sangue (Tabella indice glicemico). Un indice glicemico alto, sopra i 100, è indice di rapido assorbimento, e quindi di alti picchi glicemici, con le conseguenze negative dell’aumento di peso, dei cali di concentrazione e di rendimento e la percezione di sonnolenza.

Di norma, gli zuccheri "buoni" si trovano in cibi integrali sani, mentre gli zuccheri "cattivi" si trovano in alimenti altamente raffinati e lavorati.

Gli zuccheri semplici, non raffinati, sono presenti in natura in combinazione con altri nutrienti (fibre, vitamine e sali minerali), che ne rallentano l'assorbimento a livello intestinale e, di conseguenza, ne riducono l’impatto a livello di indice glicemico. Sono il fruttosio contenuto nella frutta e nella verdura, il lattosio, il miele, lo sciroppo d’acero, lo sciroppo d’agave, la stevia. Sono comunque prodotti dolcificanti, quindi vanno consumati in dosi non eccessive, ma sono certo migliori rispetto agli zuccheri “cattivi”.

Gli zuccheri complessi, raffinati, sono quelli estratti o purificati da fonti vegetali come la barbabietola o la canna da zucchero. Sono lo zucchero bianco (saccarosio, lo sciroppo di glucosio, l’aspartame, gli edulcoranti artificiali. Sono largamente utilizzati a livello industriale per la preparazione di dolci, biscotti, dolciumi, bibite gassate. Apportano calorie dette “vuote”, perché danno energia immediata con un alto potere dolcificante, ma sono privi dei nutrienti non energetici (fibre, sali minerali e micronutrienti) che mitigano il picco glicemico. Le linee guida dietetiche USA del 2015 ne raccomandano un consumo massimo pari al 10% del consumo totale giornaliero.

L’assunzione di zuccheri quindi non deve essere demonizzata, ha un suo valore specifico per il nostro corpo e deve far parte di una nutrizione equilibrata. Meglio privilegiare gli zuccheri semplici e abbinarne il consumo a fibre e altri nutrienti. L’attività fisica è un’ottima compagna del viaggio degli zuccheri nel nostro corpo, perché, aumentando il consumo di energia, quindi di zuccheri, contribuisce ad abbassare la glicemia, ad attivare il metabolismo, oltre a prevenire le malattie cardiovascolari.

 “Noi siamo quello che mangiamo” (L. Feuerbach)

 Laura Virtuoso